CORTINA RACCONTA - GIUSTIZIALISMO, CANCRO DELLA SECONDA REPUBBLICA
GIUSTIZIALISMO, CANCRO DELLA SECONDA REPUBBLICA
Evento del: 05/08/2010 21:30 - Audi Palace
Data articolo: 05/08/2010
​Se mai un capitolo di storia potesse riassumersi in poche immagini, basterebbero forse i momenti concitati di una diretta di telegiornale nell’ultimo giorno di aprile dell’ultimo anno della Prima Repubblica. Il Presidente del Consiglio Craxi, all’uscita da un noto hotel romano, veniva bersagliato da una pioggia di oggetti, quasi a volerne ottenere una pubblica lapidazione in favore di camera. Volavano soprattutto monetine, segno di una corruzione dilagante di cui - secondo i magistrati del pool milanese - il Partito Socialista era massimamente macchiato.

Se ne parla stasera, e l’atmosfera in sala è gonfia di paure e rancori. Preziosissimo l’intervento di Giovanni Fasanella, giornalista di Panorama, coautore de “Il morbo giustizialista” (Marsilio) con Giovanni Pellegrino (in passato senatore ds e presidente della commissione d‘inchiesta sulle stragi degli anni Settanta, oltre che principe del foro amministrativo). Il giornalista fa “outing”, professandosi iscritto ed elettore del Pd. Propone soluzioni credibili e mature per una giustizia a misura di cittadino e promette di avere la cura per il morbo che affligge il Paese da tre lustri a questa parte. Gli altri interlocutori, appena saputo delle sue simpatie democratiche, lo invitano a candidarsi alla segreteria del partito oggi in estrema difficoltà. Ci sono i politici di entrambi gli schieramenti a discutere di riforma. Andrea Orlando, responsabile del settore Giustizia de PD, pochi mesi fa, ha pubblicato su Il Foglio un documento in 5 punti, tracciando la road map di una riforma della Giustizia che una volta per tutte veda la luce sul territorio italiano. Persino il Guardasigilli Alfano ha risposto alla proposta con piacere. In un’intervista pare abbia ribadito: “incontriamoci per lavorare ad una bozza di riforma”, sebbene non si sia fatto più vivo. È carico il dirigente piddino, costretto a difendersi dagli affondi dei relatori che (esagerando) gli rinfacciano colpe e responsabilità non sue. Lo appiattiscono sulle posizione del partito della legalità, l’IDV, e lo accusano di un giustizialismo che invece non lo entusiasma affatto. Replica a muso duro: «i mali dell’Italia sono Di Pietro e Belpietro, entrambi garantisti con i propri affiliati e giustizialisti con tutti gli avversari». Risponde l’onorevole Antonio Leone, vicepresidente della Camera dei Deputati in quota Popolo delle Libertà, tendenza Berlusconi, denunciando l’abbraccio mortale politica-magistratura che, a suo dire, raggiunge risultati mirabolanti. In Puglia, a esempio, oggi laboratorio politico e fucina di leader. Stando alle parole del deputato foggiano due magistrati pugliesi, Maritati ed Emiliano avrebbero fatto carriera, buttandosi in politica, in cambio dell’insabbiamento delle indagini sul presidente del COPASIR Massimo D’Alema. Il primo, oggi senatore leccese, indagava sui conti di D’Alema e pare abbia chiuso in fretta il fascicolo con un nulla di fatto, conquistando un seggio in Senato (da sconfitto nel proprio collegio, grazie alle magie della legge elettorale maggioritaria con correzioni al proporzionale) e diventando sottosegretario alla giustizia del Governo D’Alema. Il secondo, PM barese oggi sindaco del capoluogo e presidente regionale del PD indagava sulle truffe nell’ambito della missione Arcobaleno, pare abbia chiuso qualche occhio, vedendosi spianata la strada per la poltrona di primo cittadino. Ci sono poi i giornalisti, testimoni e critici. Il direttore di Libero Maurizio Belpietro ce l’ha coi garantisti ad intermittenza, ritiene le pozioni di Orlando discutibili. Invoca il sentimento nobile della vergogna per tutti quegli esponenti sinistrorsi perché, a suo dire, da quelle file sarebbero venuti i terroristi che hanno ucciso e gambizzato i magistrati che facevano il loro mestiere. Ed avevano un’unica colpa: stare dalla parte della Legge. Irresistibili le provocazioni di Davide Giacalone, fine editorialista di Libero e de Il Tempo, oggi in veste di autore di “Terza Repubblica” (Rubbettino). Sostiene che la strumentalizzazione della giustizia sia un male tutto tricolore. Quanto all’indagine Mani Pulite: «si è voluto scientificamente sovvertire l’ordine prestabilito dalle libere elezioni, poiché i cittadini non hanno più trovato sulle schede elettorali i partiti che erano abituati a votare e in cui più credevano. Si è tentato di entrare a gamba tesa nel potere politico, finendo col sostituirsi ad esso».

Le conclusioni del dibattito vengono affidate al mite Enrico Cisnetto che chiosa, citando il ministro Brunetta dal palco della kermesse cortinese: quella di questi giorni non è una nuova Tangentopoli ma, piuttosto, l’onda lunga di quella del 1992. In realtà Tangentopoli non è mai finita. È viva e ruba insieme a noi.

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